sabato 23 giugno 2012

Lo spirito della Scienza

Cercando lo spirito della scienza "vera", quella valida, quella che è utile all'umanità. Distinguendola dalla "tecnica della conoscenza"

Scienza


scienza == lat. scientia: sistema di cognizioni acquisite con lo studio e colla meditazione

Einstein e il Mistero

riporto alcune frasi di Einstein, prese da wikiquote:

  • Chi non ammette l'insondabile mistero non può essere neanche uno scienziato

  • Come si può mettere la Nona di Beethoven in un diagramma cartesiano? Ci sono delle realtà che non sono quantificabili. L'universo non è i miei numeri: è pervaso tutto dal mistero. Chi non ha il senso del mistero è un uomo mezzo morto

  • È sufficiente per me il mistero dell'eternità della vita, il sentore della meravigliosa struttura dell'universo e della realtà, insieme al tentativo di comprendere quella parte, sia pure piccola, della ragione che manifesta se stessa nella natura.

  • La sensazione più bella che possiamo provare è il mistero. Costituisce l'emozione fondamentale che sta alla base della vera arte e della vera scienza. Colui che l'ha provata e che non è ancora in grado di emozionarsi è come una merce avariata, come una candela spenta. È l'esperienza del mistero, spesso mischiata con la paura, che ha generato la religione. La conoscenza di un qualcosa che non possiamo penetrare, delle ragioni più profonde di una bellezza che si irradia, che sono accessibili alla ragione solo nelle sue più elementari forme, è questa la conoscenza e l'emozione che stanno alla base della religione; in questo senso, e in questo solamente, io posso definirmi profondamente religioso.

  • L'eterno mistero del mondo è la sua comprensibilità... Il fatto che sia comprensibile è un miracolo.



Possiamo rappresentare il mistero in un grafico di questo tipo




Il conosciuto è ciò che conosciamo, ciò di cui abbiamo un'esperienza diretta, ciò di cui siamo certi. La frontiera è ciò riguardo al quale non siamo certi, che intuiamo, riguardo al quale abbiamo dei dubbi. Infine c'è il mistero, ciò che non conosciamo. Questo è l'aldilà, ciò del quale non abbiamo un'esperienza, dal quale siamo separati, fisicamente e/o psicologicamente.

Possono esserci diversi atteggiamenti riguardo al mistero, curiosità o venerazione, indifferenza o rifiuto.
La consapevolezza del mistero rende umile la nostra mente.
Ci affacciamo al mistero stando soli in una foresta, di fronte al cielo stellato o aprendosi ad un altro essere umano.

L'esperienza del mistero è annichilente, quanto mistero riesce a "reggere" una mente umana? Può essere un'esperienza di angoscia o di beatitudine, ma a questo punto non si è più nell'ambito della cognizione, non si può più parlare di struttura, essendo misterioso, il mistero non è ancora conosciuto. La ragione si ferma ed emerge qualcos'altro.

Come può uno scienziato compiere il suo lavoro, se non è cosciente del mistero? Se non è in grado di rapportarsi appropriatamente con esso?

Non a caso Socrate racconta:
Vedete ora per che ragione vi racconto questo: voglio farvi conoscere donde è nata la calunnia contro di me. Udita la risposta dell’oracolo, riflettei in questo modo: “Che cosa mai vuole dire il dio? che cosa nasconde sotto l’enigma? Perché io, per me, non ho proprio coscienza di esser sapiente, né poco né molto. Che cosa dunque vuol dire il dio quando dice ch’io sono il piú sapiente degli uomini? Certo non mente egli; ché non può mentire”. – E per lungo tempo rimasi in questa incertezza, che cosa mai il dio voleva dire. Finalmente, sebbene assai contro voglia, mi misi a farne ricerca, in questo modo.
Andai da uno di [c] quelli che hanno fama di essere sapienti; pensando che solamente cosí avrei potuto smentire l’oracolo e rispondere al vaticinio: “Ecco, questo qui è piú sapiente di me, e tu dicevi che ero io”. – Mentre dunque io stavo esaminando costui, – il nome non c’è bisogno ve lo dica, o Ateniesi; vi basti che era uno dei nostri uomini politici questo tale con cui, esaminandolo e ragionandoci insieme, feci l’esperimento che sono per dirvi; – ebbene, questo brav’uomo mi parve, sí, che avesse l’aria, agli occhi di molti altri e particolarmente di se medesimo, di essere sapiente, ma in realtà non fosse; e allora mi provai a farglielo capire, che [d] credeva essere sapiente, ma non era. E cosí, da quel momento, non solo venni in odio a colui, ma a molti anche di coloro che erano quivi presenti.
E, andandomene via, dovetti concludere meco stesso che veramente di cotest’uomo ero piú sapiente io: in questo senso, che l’uno e l’altro di noi due poteva pur darsi non sapesse niente né di buono né di bello; ma costui credeva sapere e non sapeva, io invece, come non sapevo, neanche credevo sapere; e mi parve insomma che almeno per una piccola cosa io fossi piú sapiente di lui, per questa che io, quel che non so, neanche credo saperlo.
E quindi me ne andai da un altro, fra coloro che avevano fama di essere piú sapienti di quello; [e] e mi accadde precisamente lo stesso; e anche qui mi tirai addosso l’odio di costui e di molti altri.

Analogamente nel Vangelo:
In quella stessa ora, Gesù, mosso dallo Spirito Santo, esultò e disse: «Io ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e agli intelligenti, e le hai rivelate ai piccoli! Sì, Padre, perché così ti è piaciuto!
(Lc 10:21)

Com'è che, nonostante la nostra cultura porti espressamente l'invito da parte dei nostri maggiori saggi a tenere un profilo basso nei confronti del "mistero", spesso sembra imporsi una serie di comportamenti fondati sulla certezza, sul "non aver dubbi"?

Secondo me una buona risposta viene dall'etologia. Esiste quest'idea che in un branco gerarchizzato (di leoni, scimpanzé o esseri umani) sia presente il maschio alfa, che domina (analogamente avviene nelle reti neurali di tipo winner-take-all). Questo ordinamento prevede lo scontro e la vittoria sul nemico (che spesso è il giovane rampante del gruppo). Questi comportamenti richiedono un certo grado di "durezza" e "convinzione" per poter essere manifestati con successo. A livello psicologico il retaggio del branco si traduce  in un atteggiamento di esaltazione della (propria) certezza. 
Questi atteggiamenti sono tipici del "guerriero", dei "poteri forti" ed adatti ad una società competitiva; intellettualmente corrispondono al dogmatismo, al fanatismo, allo scientismo, alle logiche del conflitto.

Secondo un interessantissimo articolo che avevo letto su Internazionale, questi comportamenti corrispondono alla "società del deserto", che si contrappone alla più pacifica "società della foresta".

Riportato da TheRisingUnity

1 commento:

  1. Anche Morin: Essere razionali vuol dire comprendere i limiti della razionalità e della parte misteriosa del mondo. Alla ricerca della saggezza perduta, ci rendiamo conto che la razionalità può fornirci qualche indicazione, ma che, alla fine, non troviamo in essa una guida per la vita. Quanto più riteniamo che sia la ragione a guidarci, tanto più dovremmo preoccuparci della natura irragionevole della ragione.
    (Edgar Morin, 2 Agosto 2002 http://www.assoetica.it/docenti-2/docenti-di-pensiero/edgar-morin/)

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