Decidere insieme per praticare davvero la democrazia
di Jolanda Romanodall'introduzione
In Italia, sempre più spesso, ci troviamo di fronte all’incapacità dei politici, delle istituzioni e anche di noi cittadini di risolvere i conflitti. Capita quando si verificano conflitti territoriali – come la costruzione di impianti indesiderati o di infrastrutture – o conflitti valoriali – come le discussioni sugli embrioni, sul fine-vita o sui diritti. In questi casi stentiamo a giungere a una soluzione, ci basta schierarci su due fronti opposti, per un sì o per un no. A quel punto l’impasse è inevitabile, l’unico nostro obiettivo è difendere la nostra posizione e attaccare quella contrapposta.
Chiunque di noi può immaginare casi di conflitti irrisolti e, nella gran parte di essi, non farà fatica a ricostruire questa dinamica. Lo stallo non è indolore, perché il non decidere genera comunque delle conseguenze: senso di frustrazione, esasperazione degli animi e delle posizioni, danni economici e costi sommersi.
In Italia le persone che sono interessate da un conflitto irrisolto, o che reclamano un diritto a cui chi governa non riesce a rispondere, sono sempre di più. Si tratta di una moltitudine che vive in uno stato di impotenza e isolamento e che esprime questo disagio con la disillusione e la sfiducia nella democrazia (crescente è il partito degli astensionisti). In alcuni casi, come per l’opposizione alla Tav Torino-Lione, una parte di questa maggioranza esce allo scoperto ed esprime la sua rabbia aderendo a proteste che, pur nascendo come locali, assumono una portata simbolica generale.
Difficile trovare una soluzione condivisa perché i problemi complessi, quando non sono risolti in modo strutturale, finiscono per essere affrontati in modo riduttivo, semplicistico e soprattutto sulla base dell’emergenza.
Gli esempi sono davvero innumerevoli. E tutti indicano chiaramente una cosa: che le soluzioni, volendo invece ascoltare, ci sono o si possono trovare; che è possibile cercare un modo per mettere tutti d’accordo (magari non proprio tutti, ma la maggior parte sì), se si è disposti a concepire progetti radicalmente diversi da quelli inizialmente immaginati. Se il progetto non è calato dall’alto. Ma è proprio questo il punto: spesso non è ciò che vuole il decisore.
La domanda è: noi cittadini siamo disposti a continuare a subire decisioni che vengono prese senza coinvolgerci, a vivere in un progressivo isolamento all’interno di comunità divise e sempre più arroccate, a sopportare l’assenza di una progettualità diffusa, a rinunciare a costruire un futuro non solo ambientalmente, ma anche socialmente sostenibile, per noi e per i nostri figli? Forse no, ma non sappiamo come fare.
Ecco perché ho scritto questo libro. Per dire che esistono dei modi e degli strumenti per opporsi alla dinamica discendente e per risalire insieme la china.
fruibile tramite servizio Mlol
[EDIT sett 2017] trovato questo articolo sulla gloriosa ricostituzione dell'Islanda, molto interessante
http://www.nomos-leattualitaneldiritto.it/nomos/yves-sintomer-sorteggio-e-democrazia-deliberativa-una-proposta-per-rinnovare-la-politica-del-xxi-secolo/
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