Un mio incontro del mese scorso, proprio un attimo prima che il coronavirus bloccasse tutto!
E' stato difficile da preparare, ma una grande soddisfazione.
I temi sono talmente tanti che voglio riproporlo in versione espansa (2 o 3 serate). In più gli interventi dei convenuti, mi hanno aiutato a focalizzare certe questioni da inserire (es. sul rapporto tra il Dio dei mistici e quelLo delle religioni).
Qui le diapositive, più sotto il link al sito dove c'è anche la registrazione della conferenza (purtroppo l'audio è "approssimativo") e i riferimenti bibliografici.
Mandatemi un mess per domande o osservazioni!
Perché questo titolo? Perché ho appena scoperto questa nuova parola: eziologia. Conoscere parole nuove mi aiuta a pensare meglio. Non è importante la parola in sé quanto il concetto che le è associato. Magari prima avevo il concetto ma non la parola, oppure scopro che qualcuno ha espresso un concetto che avevo usando ben DUE parole diverse, e meditandoci ora possiedo DUE concetti invece che uno. Adesso posso distinguere e spiegarmi meglio. E questo mi fa sentire più ricco.
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lunedì 23 marzo 2020
mercoledì 19 luglio 2017
La scienza dell'Uno
[articolo da rivedere]
La scrivania di una persona creativa è spesso in disordine, e il motivo razionale è che, se mentre si sta cercando un documento, se ne trova invece un altro inaspettato che scatena un'associazione proficua, ci si trova per le mani una nuova idea. Ho chiamato questa proprietà "Il magico potere del disordine".
La scrivania di una persona creativa è spesso in disordine, e il motivo razionale è che, se mentre si sta cercando un documento, se ne trova invece un altro inaspettato che scatena un'associazione proficua, ci si trova per le mani una nuova idea. Ho chiamato questa proprietà "Il magico potere del disordine".
Grazie a questa modalità caotica, in questi giorni ho scoperto, una coincidenza interessante, non tramite una scrivania disordinata (cosa che il mio tavolo in effetti è) ma nella lettura disordinata e compulsiva di articoli.
Avevo iniziato a leggere Il Fenomeno Umano di Theillard de Chardin, perché colpito da un post su facebook che ne riportava l'introduzione:
“Per essere correttamente inteso, il libro che qui presento, chiede di essere letto non come un’opera metafisica, né tanto meno come una specie di saggio teologico, ma soltanto e unicamente come un esposto scientifico. La stessa scelta del titolo lo precisa. Nient’altro che il Fenomeno: ma anche tutto il Fenomeno. [...]
È impossibile tentare un’interpretazione scientifica generale dell’Universo, senza aver l’aria di volerlo spiegare fino in fondo. Ma provate solo a osservare queste opere più da vicino: vedrete, ogni volta, che questa Iperfisica, non è ancora, del lutto, una Metafisica.
In ogni sforzo di questo genere, per descrivere scientificamente il Tutto, è naturale che si manifesti, con un massimo d’ampiezza, l’influenza di alcuni presupposti iniziali, dai quali dipende tutta la struttura del sistema che precede. Nel caso particolare del saggio qui presentato, due opzioni primordiali - tengo a precisarlo - si aggiungono, una all’altra, per sostenere e dominare tutti gli sviluppi:
- la prima, è il primato accordato alla psiche e al pensiero nel Tessuto dell’Universo;
Preminente significato dell’Uomo nella Natura, e natura organica dell’Umanità: due ipotesi che possiamo cercare di rifiutare in partenza; ma non vedo, senza di esse, come si possa dare una rappresentazione coerente e totale del Fenomeno Umano”.
- la seconda, è il valore biologico attribuito al Fatto Sociale intorno a noi.
mercoledì 10 maggio 2017
Fiducia in se stessi di R.W. Emerson
da www.gianfrancobertagni.it
Ne te quaesiveris extra (1)
L'uomo è la propria stella; e l'anima che può foggiare un onesto e perfetto uomo comanda ogni luce, ogni influsso, ogni fato; nulla per lui accade o presto o troppo tardi. I nostri atti sono i nostri angeli, buoni o cattivi, le fatali ombre che ci camminano accanto in silenzio.
Fletcher e Beaumont, La fortuna dell'uomo onesto. Epilogo.
Getta il marmocchio sulle rocce, allattalo al capezzolo della lupa, allevalo col falco e con la volpe, vigore e speditezza siano mani e piedi per lui.
Leggevo, l'altro giorno, alcuni versi scritti da un eminente pittore, versi originali e non convenzionali. L'anima sempre avverte come un ammonimento in versi del genere, quale che ne sia l'argomento. Il sentimento che instillano vale più di ogni pensiero che essi possano contenere. Credere nel proprio pensiero, credere che ciò che è vero per voi, personalmente per voi, sia anche vero per tutti gli uomini, ecco, è questo il genio. Date voce alla convinzione latente in voi, ed essa prenderà significato universale; giacché ciò che è interno diventerà esterno, a tempo debito, e il primo nostro pensiero ci sarà restituito dalle trombe del Giudizio Finale. Familiare com'è una tale voce a ciascuno di noi, il merito maggiore che noi attribuiamo a Mosè, a Platone e a Milton è che essi non tennero in nessun conto libri e tradizioni, ed espressero non ciò che gli altri uomini pensavano, ma ciò che essi pensavano. Ognuno dovrebbe imparare a scoprire e a tener d'occhio quel barlume di luce che gli guizza dentro la mente più che lo scintillio del firmamento dei bardi e dei sapienti. E invece ognuno dismette, senza dargli importanza, il suo pensiero, proprio perché è il suo. E intanto, in ogni opera di genio riconosciamo i nostri propri pensieri rigettati; ritornano a noi ammantati di una maestà che altri hanno saputo dar loro. Grandi opere d'arte non ci offrono una lezione che sia per noi più significativa. Esse ci insegnano ad affidarci alle nostre impressioni genuine con serena inflessibilità soprattutto allorché l'intero clamore di voci è dalla parte opposta. Anzi, potrebbe essere un estraneo, domani, a dirci precisamente, con magistrale buon senso, quello che noi abbiamo nel frattempo pensato e avvertito, e noi saremo costretti, con vergogna, a ricevere da un altro quella che era la nostra propria opinione.
Arriva un tempo, nell'educazione di ciascun uomo, in cui egli si convince che la competizione è ignoranza; che l'imitazione è suicidio; che deve saper accettare se stesso per il meglio e per il peggio, come parte sua; che per quanto il grande universo sia buono e generoso, nemmeno un chicco di nutriente grano può arrivare à lui se non attraverso la fatica prodigata su quel pezzo di terra che gli è stato dato da dissodare. Il potere che è in lui è qualcosa di nuovo in natura, e nessuno, eccetto lui stesso, può sapere che cosa sia quello che egli può fare, né può mai saperlo finché non ha provato. Non per nulla una faccia, un carattere, un fatto possono maggiormente colpirlo, e un altro lasciarlo indifferente. Né è senza una prestabilita armonia che vi sia, per così dire, questa scultura nella memoria. L'occhio fu collocato là dove un raggio sarebbe caduto, di modo che potesse testimoniare di quel particolare raggio. Noi esprimiamo noi stessi soltanto a metà e quasi ci imbarazza quell'idea divina che ciascuno di noi rappresenta. Si può, certo, senz'altro ritenere che essa sia qualcosa di buono, di equanime e di giusti esiti, per cui a buon diritto se ne dovrebbe parlare; ma Dio non vuole che siano dei codardi a rendere manifesta la sua opera. Un uomo si sente sollevato e lieto quando ha riposto tutto se stesso nella propria opera e ha fatto del suo meglio; ma ciò che ha detto o fatto in diversa maniera non gli darà pace. È una liberazione che non libera. Nei tentativi, il suo genio l'abbandona; nessuna musa lo soccorre; non ha più inventività, non ha speranze.
Confida in te stesso: ogni cuore vibra a una tale corda di ferro. Accetta il posto che il divino provvedere ha trovato per te, la società dei tuoi contemporanei, la connessione degli eventi. Gli uomini grandi sempre fecero così, e affidarono se stessi fanciullescamente al genio della loro età, testimoniando la loro percezione che l'assolutamente affidabile aveva preso posto nei loro cuori, operando attraverso le loro mani, prendendo possesso di tutto il loro essere. E siamo ora anche noi uomini, e dobbiamo accogliere con la più alta convinzione il nostro trascendente destino; e non come minorenni e invalidi riparati in un cantuccio, non come codardi in fuga davanti a una rivoluzione, ma come guide, redentori e benefattori obbedienti allo sforzo Onnipotente e avanzanti sul Caos e le Tenebre. (2)
Quali graziosi oracoli ci offre la natura, a tale riguardo, nel viso e nel comportamento di fanciulli, di infanti e perfino di animali! Essi non hanno mai quell'umore d'incertezza e renitenza, quella sfiducia che s'impossessa di noi solo perché la nostra aritmetica ha calcolato le forze e i mezzi che si oppongono a un nostro proposito. Essendo dunque integra la loro mente, il loro occhio è ancora indomato, e noi guardando i loro volti restiamo confusi e perplessi. L'infanzia non si conforma a nessuno; tutto si conforma ad essa, tanto che un bambino riesce di solito a tener testa a quattro o cinque degli adulti che chiacchierano e scherzano con lui. Così Dio ha dotato la giovinezza e la pubertà, nonché l'età matura, di un loro proprio sapore e fascino, rendendo ciascuna età desiderabile e amabile con le sue particolari istanze, nella misura in cui ognuna se ne starà per proprio conto. Non crediate che il giovane non abbia una sua forza solo perché non è in grado di parlare con voi e con me. Uditelo! Nella stanza accanto la sua voce è abbastanza chiara ed eloquente. Sembra che sappia bene come parlare ai suoi coetanei. Timido o ardito, saprà sempre come rendere noi più anziani assolutamente non indispensabili.
Ne te quaesiveris extra (1)
L'uomo è la propria stella; e l'anima che può foggiare un onesto e perfetto uomo comanda ogni luce, ogni influsso, ogni fato; nulla per lui accade o presto o troppo tardi. I nostri atti sono i nostri angeli, buoni o cattivi, le fatali ombre che ci camminano accanto in silenzio.
Fletcher e Beaumont, La fortuna dell'uomo onesto. Epilogo.
Getta il marmocchio sulle rocce, allattalo al capezzolo della lupa, allevalo col falco e con la volpe, vigore e speditezza siano mani e piedi per lui.
Leggevo, l'altro giorno, alcuni versi scritti da un eminente pittore, versi originali e non convenzionali. L'anima sempre avverte come un ammonimento in versi del genere, quale che ne sia l'argomento. Il sentimento che instillano vale più di ogni pensiero che essi possano contenere. Credere nel proprio pensiero, credere che ciò che è vero per voi, personalmente per voi, sia anche vero per tutti gli uomini, ecco, è questo il genio. Date voce alla convinzione latente in voi, ed essa prenderà significato universale; giacché ciò che è interno diventerà esterno, a tempo debito, e il primo nostro pensiero ci sarà restituito dalle trombe del Giudizio Finale. Familiare com'è una tale voce a ciascuno di noi, il merito maggiore che noi attribuiamo a Mosè, a Platone e a Milton è che essi non tennero in nessun conto libri e tradizioni, ed espressero non ciò che gli altri uomini pensavano, ma ciò che essi pensavano. Ognuno dovrebbe imparare a scoprire e a tener d'occhio quel barlume di luce che gli guizza dentro la mente più che lo scintillio del firmamento dei bardi e dei sapienti. E invece ognuno dismette, senza dargli importanza, il suo pensiero, proprio perché è il suo. E intanto, in ogni opera di genio riconosciamo i nostri propri pensieri rigettati; ritornano a noi ammantati di una maestà che altri hanno saputo dar loro. Grandi opere d'arte non ci offrono una lezione che sia per noi più significativa. Esse ci insegnano ad affidarci alle nostre impressioni genuine con serena inflessibilità soprattutto allorché l'intero clamore di voci è dalla parte opposta. Anzi, potrebbe essere un estraneo, domani, a dirci precisamente, con magistrale buon senso, quello che noi abbiamo nel frattempo pensato e avvertito, e noi saremo costretti, con vergogna, a ricevere da un altro quella che era la nostra propria opinione.
Arriva un tempo, nell'educazione di ciascun uomo, in cui egli si convince che la competizione è ignoranza; che l'imitazione è suicidio; che deve saper accettare se stesso per il meglio e per il peggio, come parte sua; che per quanto il grande universo sia buono e generoso, nemmeno un chicco di nutriente grano può arrivare à lui se non attraverso la fatica prodigata su quel pezzo di terra che gli è stato dato da dissodare. Il potere che è in lui è qualcosa di nuovo in natura, e nessuno, eccetto lui stesso, può sapere che cosa sia quello che egli può fare, né può mai saperlo finché non ha provato. Non per nulla una faccia, un carattere, un fatto possono maggiormente colpirlo, e un altro lasciarlo indifferente. Né è senza una prestabilita armonia che vi sia, per così dire, questa scultura nella memoria. L'occhio fu collocato là dove un raggio sarebbe caduto, di modo che potesse testimoniare di quel particolare raggio. Noi esprimiamo noi stessi soltanto a metà e quasi ci imbarazza quell'idea divina che ciascuno di noi rappresenta. Si può, certo, senz'altro ritenere che essa sia qualcosa di buono, di equanime e di giusti esiti, per cui a buon diritto se ne dovrebbe parlare; ma Dio non vuole che siano dei codardi a rendere manifesta la sua opera. Un uomo si sente sollevato e lieto quando ha riposto tutto se stesso nella propria opera e ha fatto del suo meglio; ma ciò che ha detto o fatto in diversa maniera non gli darà pace. È una liberazione che non libera. Nei tentativi, il suo genio l'abbandona; nessuna musa lo soccorre; non ha più inventività, non ha speranze.
Confida in te stesso: ogni cuore vibra a una tale corda di ferro. Accetta il posto che il divino provvedere ha trovato per te, la società dei tuoi contemporanei, la connessione degli eventi. Gli uomini grandi sempre fecero così, e affidarono se stessi fanciullescamente al genio della loro età, testimoniando la loro percezione che l'assolutamente affidabile aveva preso posto nei loro cuori, operando attraverso le loro mani, prendendo possesso di tutto il loro essere. E siamo ora anche noi uomini, e dobbiamo accogliere con la più alta convinzione il nostro trascendente destino; e non come minorenni e invalidi riparati in un cantuccio, non come codardi in fuga davanti a una rivoluzione, ma come guide, redentori e benefattori obbedienti allo sforzo Onnipotente e avanzanti sul Caos e le Tenebre. (2)
Quali graziosi oracoli ci offre la natura, a tale riguardo, nel viso e nel comportamento di fanciulli, di infanti e perfino di animali! Essi non hanno mai quell'umore d'incertezza e renitenza, quella sfiducia che s'impossessa di noi solo perché la nostra aritmetica ha calcolato le forze e i mezzi che si oppongono a un nostro proposito. Essendo dunque integra la loro mente, il loro occhio è ancora indomato, e noi guardando i loro volti restiamo confusi e perplessi. L'infanzia non si conforma a nessuno; tutto si conforma ad essa, tanto che un bambino riesce di solito a tener testa a quattro o cinque degli adulti che chiacchierano e scherzano con lui. Così Dio ha dotato la giovinezza e la pubertà, nonché l'età matura, di un loro proprio sapore e fascino, rendendo ciascuna età desiderabile e amabile con le sue particolari istanze, nella misura in cui ognuna se ne starà per proprio conto. Non crediate che il giovane non abbia una sua forza solo perché non è in grado di parlare con voi e con me. Uditelo! Nella stanza accanto la sua voce è abbastanza chiara ed eloquente. Sembra che sappia bene come parlare ai suoi coetanei. Timido o ardito, saprà sempre come rendere noi più anziani assolutamente non indispensabili.
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